Dalla sua casa a Giza, dove è nato, Kamal Makar poteva vedere le grandi piramidi come se vegliassero su di lui. Tale famigliarità non ha svilito il loro valore ma anzi consolidato nell’artista la responsabilità di discendere da una grande civiltà.
La pittura di Kamal cresce sul limo del Nilo, si nutre dei colori vividi dei fondali marini del Mar Rosso, affonda le sue radici nella sabbia del deserto, nella storia.
Fin da bambino ricerca sotto la sabbia manufatti e mummie di animali di epoca antica. In seguito sente che visitare, studiare, quasi ispezionare i monumenti antichi è per lui una necessità: per onorare le generazioni da cui discende, per far propria l’abilità dei grandi maestri, per capire i misteri trascendentali e tecnici non ancora svelati all’uomo contemporaneo.
Ma la ricerca delle sue radici va oltre. I suoi pellegrinaggi negli austeri monasteri cristiano-copti del deserto sono ricerca storica, emozionale, ricerca di Dio.
Di un Dio che si è rifugiato dove la natura è più aspra e desolata, dove la sera è rischiarata dal palpitare delle candele e il silenzio cullato da canti liturgici, lontani dalle contraddizioni degli uomini.
Studia l’arte araba, europea e occidentale. Ma l’approccio dell’artista con l’arte è emozionale, mistico, fisico: il suo stesso profilo sembra estrapolato da un bassorilievo di Karnak o da uno dei ritratti del Fayyu’m.
Nelle opere di Kamal la figura umana è protagonista. Una figura sintetizzata, deformata, a volte smembrata, che campeggia in spazi surreali, atemporali, innaturali, perché tutto (tempo, spazio, storia, natura) è nell’uomo. Ciò che lo circonda non è altro che emanazione dell’uomo stesso, energia vitale e intellettuale.
Figure come graffiti preistorici, disarticolate, goffe, uomini-scimmia; o figure sublimate, allungate, in tensione verso il cielo, uomini-santi.
Non c’è interesse per il chiaroscuro, per il volume: l’arte rappresenta le idee, i ricordi, le emozioni, gli istinti. Elementi astratti che si incastrano tra loro quasi a forza o sbiadiscono nell’irrisolutezza del tutto. L’uomo è storia, è arte, è Dio. Tutto da esso parte e in esso fa ritorno. Esplosione e implosione perpetua.
I dipinti sono come stati di allucinazione che portano l’uomo dai livelli più bassi della sua condizione(uomo-scimmia,uomo-asino,senza idee, senza spirito) a quelli più alti(i pensatori, gli artisti, i santi) e ritorno. Un dualismo che è nella storia dei popoli e dentro ognuno di noi, in tensione tra egoismi ancestrali e stati di grazia.