Adriana Marcorin
Al primo impatto astratte, le opere di Adriana Marcorin presuppongono sempre soggetti reali. Così, come smembra e ricompone figure umane, nella serie dei “muri” reinterpreta l’irregolarità delle superfici. Riuscire a creare opere prendendo come soggetto dei muri è un’operazione che denota capacità analitica e sensibilità artistica.
L’autrice non si è accontentata di rivelare le sensazioni visive delle superfici, come in una prima serie di quadri, ma è andata oltre riproducendone le sensazioni tattili.
Queste composizioni materiche sono dei piccoli universi in cui ogni segno ha la sua precisa collocazione in rapporto con le altre.
Al di là della vaghezza e della casualità c’è una trama attenta, una logica dettagliata.
Lo spazio, privo di profondità data la natura del tema trattato, è animato per tutta la sua estensione da movimenti brevi e veloci, come vibrazioni prodotte da particelle che si respingono l’un l’altra, in un equilibrio fatto di moti costretti e virulenti. A volte l’artista inserisce all’interno delle sue composizioni frammenti reali di materiali edili dando a questi ultimi una nuova dignità.
Queste opere, più complesse e di grandi dimensioni, in cui sono riprodotte finestre o nicchie con madonne, sono inquietanti come vecchie abitazioni abbandonate, animate solo dallo sbattere di tendaggi strappati e dal baluginare di un antico mosaico frammentato.