La prima volta che entrai nel laboratorio di Nereo Silvestrini fu come scoprire un sito archeologico. L’ambiente era semi buio e polveroso; in terra c’erano pile di giornali, fogli con schizzi e appunti, oggetti dei più strani…I soggetti dei quadri s’intravedevano al di là della patina densa e scura che si era formata col tempo, intrappolati e forse protetti da essa. Ed anche i discorsi dell’artista apparivano difficilmente comprensibili: le argomentazioni si accavallavano nella foga che aveva di raccontarci le sue esperienze ed i significati delle sue opere. Tutto era da scoprire e da decifrare: illuminare le stanze, ripulire i quadri, riordinare i suoi discorsi: era come comporre un puzzle. Da anni non esponeva e lui stesso si era dimenticato dell’esistenza di alcuni dei suoi quadri. Ogni opera è stata scoperta tre volte: una prima volta ritrovandola in mezzo a montagne di altre cose, una seconda ripulendola, una terza (per alcune opere) decifrandone il significato, scoprendo l’impulso che ne aveva determinato la creazione.
Nereo si è accostato a molti movimenti artistici contemporanei non per mancanza di personalità artistica o per incoerenza stilistica. La sua è stata ed è una ricerca continua che gli ha fatto produrre opere assolutamente uniche. Ogni quadro è un’assimilazione e un’elaborazione di ciò con cui è venuto a contatto, situazioni artistiche e storiche, e l’opera appare come il risultato di una squisita lucidità intellettuale e di una pienezza di sensibilità emotiva e pittorica. Arrivato ad un certo punto di un “periodo” lo considera concluso e non ci torna più sopra, continuando la sua ricerca per altre strade. Fanno parte così della sua vasta produzione quadri diversissimi tra loro: la “composizione di spirali”, equilibratissima sintesi di forme e colori per esprimere il concetto del movimento rotatorio che governa il tutto, dagli oggetti meccanici all’universo; gli autoritratti, le cui espressioni corrispondono alla tecnica pittorica adottata; i soggetti che si riferiscono al ’68, col suo carico di violenza, passione, dubbio, rappresentati attraverso un fitto ma ragionato accostamento di forme più o meno simboliche; disegni di animali, come “il corvo”, che si divincolano dalla fitta trama di segni di cui essi stessi sono costituiti, in quel tentativo dell’autore di rappresentare, come egli stesso afferma, l’identità di forma, movimento e spazio.
Ma la sua esplorazione nel mondo dell’arte riguarda anche la sfera tecnica: sperimenta nuovi materiali, nuovi supporti, e nuovi modi di usare i colori.
La disomogeneità della produzione artistica corrisponde alla personalità dell’autore ed al suo modo di lavorare e di ragionare: proiettato fuori e dentro di sé, all’inseguimento quasi febbrile di ciò che non conosce, mai pienamente soddisfatto, smanioso di raggiungere qualche verità, confusamente, percorrendo mille vie, e quando vi giunge restituisce delle nuove verità che invece di placarlo lo sospingono più in là.
Attaccato ai suoi quadri come a dei figli (per sua stessa ammissione) ha dipinto per anni senza mostrare niente, a parte a qualche sporadico visitatore. Questo dimostra che per Silvestrini la pittura è un fatto assolutamente personale, una ricerca che l’artista compie nel silenzio del suo laboratorio, dal quale egli è riuscito ad abbracciare un secolo di movimenti artistici senza restare intrappolato da nessuno di essi.